giovedì 12 luglio 2012

IL CONGRESSO INTERNAZIONALE «IL RINASCIMENTO A LIONE » (MACERATA 6-11 MAGGI0 1985)

Quello del Congresso internazionale su "Il Rinascimento a Lione", fu un avvenimento epocale, reso possibile soltanto dal prestigio internazionalmente riconosciuto a Enzo Giudici, quale serio e rigoroso studioso e ricercatore, nonché dall'accogliente e lungimirante disponibilità dell'Università di Macerata, che egli si apprestava a lasciare dopo il definitivo trasferimento presso l'Università di Roma II. L'articolo di Antonio Possenti che qui riportiamo, pubblicato originariamente sulla rivista "Bibliothéque d'Humanisme et Renaissance" (Tome XLVIII - 1986 - no. 1, pp. 209-211), può aiutare sia a comprendere l'importanza dell'avvenimento e a fornire utili spunti a quanti vogliano approfondire l'argomento trattato, sia a dare una corretta collocazione alla reputazione di cui godeva Enzo Giudici a livello mondiale.

In quella occasione, peraltro, egli aggiunse altri due riconoscimenti ai numerosi di cui già godeva: 1) una medaglia dal Comune di Lione, come ringraziamento per il nuovo lustro donato alla città con i suoi studi e le sue ricerche sul Rinascimento lionese; 2) il Prix d'Honneur de l' Académie de Lyon, della quale Enzo Giudici era membro stimato da anni. 
   
CRONIQUE

Nella prestigiosa Aula Magna dell'Universita di Macerata (Marche), fondata nel 1540 (ma già nel 1290 vi esisteva una Scuola di Diritto), si è tenuto, dal 6 all' 11 maggio 1985, il Congresso Internazionale sul Rinascimento a Lione.
Il Congresso era stato organizzato da Enzo Giudici, uno dei più eminenti studiosi di questo avvincente periodo letterario, il quale festeggiava anche il suo quarantennio di studi e gli ultimi mesi del suo insegnamento a Macerata, essendo egli da tre anni chiamato alla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma. Vi sono convenuti cosi, da tutte le parti del mondo, i maggiori cinquecentisti, che hanno inteso onorare, anche a titolo personale, il maggior studioso di Maurice Scève e di Louise Labé. I lavori sono stati aperti dal Rettore dell'Università di Macerata Prof. Attilio Moroni, il quale ha ricordato in un dotto discorso i legami tra la cultura italiana e la cultura lionese del tempo, e dal Preside della Facoltà di Lettere, Prof. Giovanni Ferretti, che ha tenuto a esprimere la soddisfazione sua e dei suoi colleghi. Ha preso poi la parola Madame Lucette Lacouture, prosindaco di Lione e deputato al Parlamento Europeo, che è stata l'ambasciatrice della sua città e ha recato al Prof. Giudici la medaglia offerta dal Comune di Lione in ringraziamento di una vita di studi che quella città hanno magistralmente illustrato. Alla Lacouture ha fatto seguito il Prof. Gabriel-André Pérouse, inviato a sua volta dall'Académie de Lyon, il quale, ai termine di un dotto e affettuoso discorso, ha conferito al Prof. Giudici il Prix d'Honneur dell' Accademia. Gli interventi si sono soprattutto concentrati su Maurice Scève e Louise Labé. Philippe Ménard (Sorbona) ha messo in risalto, nella sua brillante conferenza L'inspiration courtoise dans la Délie, i legami del poeta con la cultura medioevale, mentre Doranne Fenoaltea (North Carolina) è ritornata su La réception de la Délie et la question de l'obscurité e Tomio Kato (Osaka) su Le Néoplatonisme de Marsile Ficin dans la Délie de Maurice Scève. Il problema formale del Canzoniere è stato invece rivisitato da Dorothy Gabe Coleman (Cambridge): Densité et intelligence créatrice dans les dizains de Maurice Scève e da Jerry Nash (New Orleans): Poésie et illumination: l'esthétique amoureuse de Maurice Scève. Gli emblemi da Paul Ardouin: Devises et emblèmes d'amour dans la Délie de Maurice Scève ou les Noces d'or de l'image et du verbe e da Fernand Hallyn (Gand): Les emblèmes de la Délie. Infine, Françoise Charpentier (Paris VII) ha parlato di Scève et Jean Lemaire aux frontières de la Renaissance lyonnaise, mentre Antoine Fongaro, illustre specialista della littérature contemporaine ha messo in luce, in un originale intervento, i legami tra il poeta della Délie e Baudelaire.
Su Louise Labé era intervenuto lo stesso Giudici con una magistrale interpretazione del VI, VII e VIII sonetto del Canzoniere. Kazimierz Kupisz (Łódź) si è soffermato invece su certains rapprochements littéraires dans le sillage de Louise Labé. Inoltre Yvonne Bellenger (Reims) ha messo a punto Les jeux du temps et de la lumière dans l'œuvre de Louise Labé, mentre Kenneth Varty (Glasgow) ha insistito su Les qualité poétiques de la prose de Louise Labé. Infine, Giuseppe Antonio Brunelli (Catania) si è occupato dei traduttori italiani della poetessa. Non sono state tuttavia trascurate le personalità minori che ruotarono intorno ai due grandi poli del Rinascimento lionese: come Guillaume de La Tayssonnière, il jambonnier di Rabelais, di cui Yves Giraud (Friburgo) ha illustrato Les Amoureuses Occupations, mentre Gabriel-André Pérouse (Lione) è ritornato sulla Tricarité nella sua illuminante conferenza Quelques aspects de Claude de Taillemont e Gisèle Mathieu-Castellani (Paris VIII) sulla poesia e la pittura nelle Douze Fables di Pontus de Tyard. Christiane Lauvergnat-Gagnière (Lione) ha messo a fuoco con rara maestria la personalità di Barthélemy Aneau, martire del fanatismo, il quale attende ancora una rivalutazione dalla critica e una riedizione delle opere; Etienne Vaucheret (Pau) si è appuntata invece al medico letterato lionese, che introdusse il Neoplatonismo in Francia nei primi anni del Cinquecento, additandone un nuovo aspetto: Symphorien Champier et la Chevalerie. Raffaele Scalamandré (Roma) ha parlato con la consueta profondità del suo Charles Fontaine da Parigi a Lione e Jean Dubu (Parigi) del Promptuaire des Médailles del Roviglio. I rapporti fra Lione e Hélisenne de Crenne sono stati illustrati da chi scrive. Né tantomeno e stata trascurata la cultura lionese del tempo sulla quale si sono particolarmente distinti le comunicazioni dell'insigne specialista Robert Aulotte (Sorbona): L'impulsion lyonnaise dans la diffusion des œuvres morales de Plutarque au XVIe siècle; dell'emerito cinquecentista italiano Enea Balmas (Milano): Editori italiani a Lione; di Riccardo Scrivano (Roma II) :Libri e autori italiani a Lione nel XVI secolo; di William Kemp (Ottawa): La collection de textes français en romain de Morin (1530-1532); di Richard Cooper (Oxford): Umanisti e antiquari a Lione nel Rinascimento; di Anna Maria Raugei (Milano): Echi della cultura lionese nella Biblioteca di G. Pinelli (1535-1601) e infine del più illustre storico francese del Rinascimento (e studioso incomparabile di Erasmo) Jean- Claude Margolin (Tours) e di altri insigni specialisti come Eva Kushner (Ottawa), Madeleine Lazard (Sorbona), Caridad Martinez (Barcellona), etc. che ci spiace, per mancanza di spazio, di non poter ricordare.
Anche l'astrologia, che fu cosi intimamente legata all'espressione della cultura di quel tempo, ha avuto la sua parte negli interventi di Camillo Marazza (Bergamo) sulla Mantice di Pontus de Tyard e di Giorgio De Piaggi (Genova), il quale ha illustrato la prima traduzione francese (Lione 1542) del De Institutione fæeminae Christianae di J.-L. Vives. Dell'arte si sono invece occupati Jeanne Wathelet-Willem (Liegi) e Francois Charpentier (Lione). Splendida la cornice in cui ha avuto luogo e sontuosi i ricevimenti e i trattenimenti culturali offerti agli intervenuti al Congresso, che fa epoca come uno dei più prestigiosi di questi ultimi anni. La sua seconda giornata si è svolta nel Palazzo dei Priori di Fermo, e, nella ricca Biblioteca della città, i Congressisti hanno avuto la fortuna di scoprire una edizione di Ronsard che non era stata fino a oggi ritrovata. Si attende la pubblicazione degli Atti, che è prevista per la prossima estate; in questi figureranno anche gli interventi di studiosi quali il McFarlane, il Bailbé, il Rigolot, il Tetel, il Sozzi e vari altri, i quali, per ragioni di forza maggiore, non sono potuti intervenire all'eccezionale incontro culturale. Il volume, come aveva proposto lo stesso Giudici, sarà dedicato agli illustri cinquecentisti scomparsi negli ultimi anni quali René Fromilhague, Pierre Jourda, Raymond Lebègue, Jean-Charles Payen e Verdun-Léon Saulnier (del quale qualche jeune lyon, a torto, in occasione dei Mélanges a lui dedicati, aveva vanamente cercato di sottolineare una «inimicizia» col Giudici). Di tutti l'eminente studioso aveva ricordato con commossa parola l'opera e sottolineato brevemente i rapporti di amicizia che a loro lo legarono. Ora che un crudele destino l'ha strappato prematuramente alla cultura, questi Atti saranno dedicati anche alla sua memoria.

Sassari.
                                                           Antonio POSSENTI.
 
"Bibliothéque d'Humanisme et Renaissance" (Tome XLVIII - 1986 - no. 1, pp. 209-211),

giovedì 8 dicembre 2011

Alcuni sonetti di Louise Labé tradotti da Enzo Giudici

Traduzione in versi 
da "Il Canzoniere - La disputa di Follia e di Amore"

IN QUESTO ARTICOLO:


Brano tratto dalla Introduzione di Enzo Giudici a Il Canzoniere
Sonetti con traduzione a fronte
Alcuni giudizi su Il Canzoniere
In occasione del quarto centenario dalla pubblicazione degli scritti di Louise Labé, Enzo Giudici dà alle stampe la prima traduzione italiana di tutte le opere della poetessa di Lione (v. in Lettere di Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti, pag. 230), precedute da un proprio studio scientifico sui tempi e sulle vicende biografiche di questo personaggio, attorno al quale “la leggenda ha creato un alone di fascino e di mistero” (v. Controcopertina de “Il Canzoniere”).
La lunga Introduzione(di cui é qui riportato soltanto un brevissimo brano), sostanziosa ed articolata al punto da poter essere considerata un lavoro a sé stante; l’intenzione esplicita di fornire al lettore elementi validi per una corretta collocazione dell’opera della Belle Cordiére nel contesto in cui ella visse e scrisse; la scelta felice (e coraggiosa), di utilizzare la forma poetica dei versi per tradurne i Sonetti al fine di non snaturarne l'essenza e l’armonia; tutti questi elementi costituiscono l’esemplificazione di quel rigoroso metodo di studio di tipo storicista che fu fin dall'inizio alla base delle opere di Enzo Giudici, metodo da egli stesso definito “critica sistematica"; tali elementi al tempo stesso dimostrano – da parte dell’autore - una profonda conoscenza filologica unita ad una straordinaria sensibilità poetica, come la critica ebbe a riconoscergli.
Enzo Giudici divenne poi uno dei maggiori esperti di fama internazionale sul Rinascimento francese e sull'école lyonnaise in particolare. Sulla sola Louise Labé pubblicò negli anni a venire almeno 24 opere, tra le quali quella che viene considerata la prima vera edizione critica in senso stretto delle Œuvres complètes della Dame au Luth, vale a dire la prima basata su studi e ricerche validate da un serio rigore scientifico (v. brano della Bellenger alla fine dell'articolo).

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Premessa in controcopertina de Il Canzoniere (in Collana di testi, saggi e monografie diretta da Giacinto Spagnoletti)

A cura di Enzo Giudici
"L’opera di Louise Labé, la Belle Cordière di Lione, è quanto mai esile: tre elegie, ventiquattro sonetti e una Disputa di Follia e di Amore, in prosa. Prosa tanto arguta e vivace quanto appassionato ed intenso è il breve canzoniere d'amore, la cui poesia resta del tutto nuova anche per quanti abbiano familiari le più alte espressioni della lirica femminile, dalla provenzale Contessa di Dia alla padovana Gaspara Stampa. Ed è a questi versi, « Les plus beaux vers passionnés du monde » (Faguet) che deve soprattutto, presso il grande pubblico, la sua fama Louise Labé; e vi è in essi tanta umana sincerità che ben si giustifica l'entusiasmo di quei poeti che, come la Desbordes-Valmore e Aragon, si ispirarono alla poetessa lionese, e l'attenzione di quei critici che vedono nella sua arte un momento essenziale del Rinascimento francese, nei suoi preludi e nelle sue cadenze. Presentare per la prima volta al pubblico italiano un'opera cosi viva e seducente assume particolare valore nella ricorrenza del quarto centenario della pubblicazione degli scritti della Labé; ma egualmente importante era mettere in luce, nel suo complesso, mediante un accurato studio dei tempi e delle vicende biografiche. tutta la personalità di questo spirito d'eccezione intorno a cui la leggenda ha creato un alone di fascino e di mistero."

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Brano tratto dalla "Introduzione" di Enzo Giudici
Dalle molli e fulgide cadenze del Rinascimento francese parla a noi con sincerità cristallina la voce di Louise Labé, la cui figura splende già da tempo, e di luce sempre più viva. nel quadro di un'epoca che le ricerche degli studiosi, vieppiù intensificatesi nell'ultimo secolo, ci presentano ormai con ricchezza di particolari.
Ci fu un tempo in cui, anche in Italia, gli studenti esistenzialisti amavano andare a passeggio con il libro di Louise Labé sotto il braccio, non d'altro curandosi che di assaporarne versi e prosa, senza alcun ausilio culturale; ma assai più di questo dialogo, limitato all'hic et nunc, ci sembra che valga a penetrare il carattere e il valore della Belle Cordiére de Lyon un'indagine accurata che non astragga dai suoi tempi, ma ve la richiami dentro e cerchi di spiegar l'una dimensione con l'altra. La figura di Louise Labé, infatti, pur essendo pienamente originale, è l'espressione pura dell’epoca, in ciò che questa ha di più duraturo e perciò di più genuino; non deriva supinamente dai tempi, ma spontaneamente contribuisce a costituirli: e questo può spiegare la coesistenza in lei di due aspetti apparentemente discordanti: una specie di splendido isolamento, da un lato, e un perfetto aggiornamento dall'altro. È ai suoi tempi, perciò (anche se in questa introduzione nessun esame profondo può esser tentato), che si deve riportare ogni studio della personalità di Louise; perché è con le varie modulazioni della Renaissance che si accorda intimamente la sua opera, al modo stesso - vorremmo dire - con cui la poetessa accompagnava i versi suoi e d'altri con il liuto. [...]

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Sonetti con traduzione a fronte:
Sonnet II

O beaus yeus bruns, ô regars destournez,
O chaus soupirs, ô larmes espandues,
O noires nuits vaìnement atendues,
O iours luisans vaìnement retournez:
O tristes pleins, ô desirs obstinez,
O tems perdu, ô peines despendues,
O mile morts en mile rets tendues,
O pire maus contre moy destinez.
O ris, ô front, cheueus, bras, mains et doits:
O lut pleintif, viole, archet et vois:
Tant de flambeaus pour ardre une femmelle!
De toy me plein, que tant de feus portant,
En tant d'endrois d'iceus mon coeur tatant,
N'en est sur toy volé quelque estincelle.

Sonetto II

O neri occhi, o fuggitivi sguardi,
O sparsi pianti, o sospiri infocati,
O notturni silenzi invan bramati,
O vane aurore rïapparse tardi:
O lamenti, o desiri ognor gagliardi,
O effuse pene, o giorni consumati,
O continuo morire in mille agguati,
O per me pronti ben più crudi dardi.
O riso, o fronte, o braccia, o mani e dita:
O liuto, o viola che a pianger m'invita:
Perchè donna ne bruci, ahi qual favilla!
Di te mi dolgo, che in tanto disìo
D'arder con mille faci il petto mio,
Non sia su te volata una scintilla.


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Sonnnet III

O longs desir, O esperances vaines,
Tristes soupris et larmes coutumieres
A engendrer de moy maintes riuieres,
Dont mes deus yeus sont sources et fontaines:
O cruautez, O durtez inhumaines,
Piteus regars des celestes lumieres:
Du coeur transi O passions premieres,
Estimez vous croitre encore mes peines?
Qu'encor Amour sur moy son arc essaie, '
Que nouueaus feus me gette et nouueaus dars:
Qu'il se despite, et pis qu'il pourra face:
Car ie suis tant nauree en toutes pars,
Que plus en moy une nouuelle plaie,
Pour m'empirer ne pourroit trouuer place.

Sonetto III

Mio lungo amore, mie speranze vane,
Mesti sospiri e lacrime che tanto
Fate nascer da me rivo di pianto
Di cui son gli occhi e sorgenti e fontane;
O crudeltà, O asprezze non umane,
Sguardi pietosi di celesti luci,
Dell'agghiacciato cuor fiamme lontane,
Volete ancor che il dolore mi bruci?
Ancor su me ténda Amore pur l'arco,
Altri fuochi mi scagli ed altri strali
E a spiegar tutta l'ira sua si provi:
Già colpita son io da tanti mali
Che nel mio corpo ormai un solo varco
Per più ferirmi non sarà ch'ei trovi.

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Sonnet XII

Lut, compagnon de ma calamité,
De mes soupirs témoin irreprochable,
De mes ennuis controlleur veritable,
Tu as souuent auec moy lamenté:
Et tant le pleur piteus t'a molesté,
Que commençant quelque son delectable,
Tu le rendois tout soudein lamentable,
Feignant le ton que plein auoit chanté.
Et si te veus efforcer au contraire,
Tu te destens et si me contreins taire:
Mais me voyant tendrement soupirer,
Donnant faueur à ma tant triste pleinte:
En mes ennuis me plaire suis contreinte,
Et d'un dous mal douce fin esperer.


Sonetto XII

Liuto, conforto alla pena mia dura,
Del sospirar testimon veritiero,
Del lungo tedio mio specchio sincero,
Spesso hai pianto con me la mia sventura.
E sì quel pianto ha oppresso tua natura
Che s'io dir volli un canto messaggero
Di fresca gioia, al duol. in cui già ero
Prontamente il piegava ogni tua cura,
E se voglio da te l'opposto avere,
Tu vieni meno e mi sforzi a tacere;
Ma vedendomi tanto sospirare,
Cosi soavi canti quei lamenti
Che ad amar son costretta i miei tormenti
E a dolce pena egual fine sperare.

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Sonnet XIII

Oh si i'estois en ce beau sein rauie
De celui là pour lequel vois mourant:
Si auec lui viure le demeurant
De mes cours iours ne m'empeschoit enuie:
Si m'acollant me disoit, chere Amie,
Contentons nous l'un l'autre, s'asseurant
Que ia tempeste, Euripe, ne Courant
Ne nous pourra desioindre en notre vie:
Si de mes bras le tenant acollé,
Comme du Lierre est l'arbre encercelé,
La mort venoit, de mon aise enuieuse:
Lors que souef plus il me baiseroit,
Et mon esprit sur ses leures fuiroit,
Bien ie mourrois, plus que viuante, heureuse.

Sonetto XIII

Oh, se foss'io nel dolce sen rapita
Di colui per il qual vivo morente,
E non vietasse invidia il rimanente
Breve mio tempo viver seco unita;
Se mi stringesse, sussurrando: Amica,
Godiamo insieme ormai, chè veramente
Né tempesta né Euripo né corrente
Potran mai disunirci in questa vita;
Se, con le braccia tenendolo avvinto,
Come dall'edera è l'albero cinto,
Gelosa del mio ben, giungesse Morte,
Allor che con più amore ei mi baciasse
E sul suo labbro il mio cuor si involasse,
Più che se viva avrei felice sorte.

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Alcuni giudizi su Il Canzoniere


Il volume del Giudici offre tutta l'opera tradotta, con un ampio studio introduttivo di centocinquanta pagine, che non solo è il più vero contributo della nostra bibliografia, ma può essere considerato - per molti aspetti - un apporto fondamentale alla conoscenza biografica e alla valutazione critica della poetessa [ …]. Ci si può rendere conto dell'importanza di questo volume, che raccoglie in sintesi il frutto di molti anni di lavoro, divisi fra Lione e Parigi, alla ricerca non solo di documenti, ma anche dell'atmosfera stessa locale, in cui ella visse e cantò.

Piero Raimondi
(Corriere della Liguria, 23 marzo 1957)
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The long introduction, which reflects sound scholarship, is rich in critical observations and consideration of the works of other scholars on the subject. But while it is useful to specialists in sixteenth century literature it is designed at the same time to hold the interest of a wider public. The author, well-known for his work on French Renaissance literature and who had already contributed valuable articles on Louise Labé, has written a much longer book on la Belle Cordière in which controversial aspects of her life and writings have been treated. This book, which is in the last stages of preparation, will be ready for publication after the appearance of his work on Maurice Scève, to be published in the Spring of 1957. Here Professor Giudici has confined himself to composing a readable and sympathetic essay more generally accessible. Of particular interest is his description of the extraordinarly italianized city of Lyon in the early sixteenth century where the gifted and impressionable Louise Labé became familiar with the Italian culture, the Italian love of beauty, the free-er Italian way of life, which she could see and feel around her. [...] In his translations Professor Giudici has shunned the temptation to produce an Italian pastiche of sixteenth century prose and poetry. For the Débat his concern has been to comprehend the text fully, then to transfer it into an Italian version which, without being a commentary, clarifies the frequent ambiguities of the original. Here fidelity to the text and respect for the Italian language have been the guiding principles of the lively, supple translation, which, despite its avoidance of archaic forms, still retains a flavor reminiscent of Italian dialogue. For the elegies, and particularly for the sonnets, whose luminous concision is so delicate that only with great difficulty can it be transferred into another medium, there was a more serious problem. The translator explains that a prose rendering seemed indicated at first as a means of remaining more faithful to the French text. But he realized that this would sacrifice qualities which cannot be rendered in modulations different from those of the original. This, of course, is the justification for verse translation. To take from the poetry of Louise Labé, la dame au lut, the music which is such an essential quality of it would be to destroy it. Therefore, while making only a rhythmic prose translation of the elegies, he ventured on a translation of the sonnets in sonnet form. And in this he has been remarkably successful. By the very nature of the sounds the melodies differ. The Italian melody is more sonorous than the French with its half vowels, its muted e's and its complaining nasals. However, because both languages spring from the same roots, Professor Giudici has often been able to use the same rhyme words. Not infrequently he has reproduced the very phrases of Louise and has not sacrificed to greated elaboration of expression, as he seems to do in some places in the elegies, the naiveté and poignancy of the original. A good example of felicitous rendering is sonnet XV [...].One can easily  believe that nothing would have delighted la Belle Cordière more thoroughly than to have her complete  works so skilfully and sympathetically translated into the Southern language which she admired to such an extent that she used it pridefully as medium of her first sonnet.

Alta Lind Cook
(Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance,1956, PP. 407-410)
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M. Enzo Giudici a réuni une étude importante, un album de reproduction, le texte français complet de l'oeuvre avec sa traduction en vers italiens d'une étonnante fidélité, et un riche ensemble de notes et vairiante.Son étude, qui constituerait à elle seule un volume de format courant, est la plus complète qui esiste actueuement sur le sujet.

Solange Chabot
(Les Lettres Françaises, 8 mars I956)
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Enzo Giudici au service des poètes lyonnais
La somme des travaux du professeur Enzo Giudici consacrés à la poésie lyonnais du XVI siècle est impressionnante. Ses quatre dernières. contributions en particulier * (je parle ici, il va sans dire, de volumes et non d'articles) s'échelonnent de 1976 à 1981 et présentent un intéret et une utilité capitale. Elles portent sur les deux plus grands poètes de Lyon au milieu du XVI siècle, c'est-à-dire aussi deux des plus grands poètes français: Maurice Scève et Louise Labé. Pour l'un et pour I'autre, Enzo Giudici nous offre deux éditions critiques qui manquaient cruellement aux chercheurs et aux simples amateurs lettrés: le Microcosme de Scève et, de la belle Louise, les Œuvres complètes. D'autre part, avec la précision et l'ampleur érudite qui caractérisent toutes ses recherches, l'A. accompagne ces deux publications de deux études complémentaires […]

Quelques années après avoir ainsi enrichi les études scéviennes, Enzo Giudici offrait une contribution de la meme qualité à tous ceux qu'intéresse l'œuvre de Louise Labé. Aussi invraisemblable que cela paraisse, en effet, cette édition des Œuvres complètes établie et commentée par Enzo Giudici est la première édition critique des œuvres de la Belle Cordière! Jusqu'alors, des anthologies ou des éditions partieiles, quelques éditions plus ou moins complètes, non critiques et difficiles d'accès, étaient les seules où l'on pouvait lire ces textes, et il est inutile de dire qu'il ne s'agissait en aucun cas d'éditions scientifiques. […]

Yvonne Bellenger
Studi francesi n. 79 - gennaio-aprile 1983 – pp. 67-71
Rosenberg & Sellier Editori in Torino
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*Enzo Giudici: éditions critiques du Microcosme de Maurice Scève(Garigliano-Vrin, Cassino-Paris, 1976, pp. 481) et des Œuvres complètes de Louise Labé, Genève, Droz Textes litteraires français» 292), 1981, pp. 256).
Maurice Scève traduttore e narratore, Garigliano, Cassino, 1978, pp. 155.
Louise Labé. Essai, Roma-Paris, Edizioni dell'Ateneo-Nizet Nuovi Saggi >P 78), 1981, pp.103).

venerdì 25 novembre 2011

Metodologia della critica sistematica

Pensare storicamente
secondo Enzo Giudici
Per poter comprendere meglio l'opera di Enzo Giudici ed i motivi della sua originalità, è importante fare chiarezza sul suo metodo di lavoro, che è poi la conseguenza del suo modo di pensare e di agire, tanto come uomo quanto come studioso.
Per questo riportiamo qui alcune pagine tratte dalle sue Memorie in cui egli, dopo una breve elencazione  di quelle che sono, a suo parere, le varie tipologie di critica esistenti (ovvero dei vari metodi che si possono usare per elaborare una critica), spiega le caratteristiche del metodo utilizzato da lui stesso, vale a dire quello della "critica sistematica". In particolare egli ne sottolinea la peculiarità di metodologia scientifica, perché basata sull'esame di tutte le possibili fonti, anche di quelle relative al contesto. Secondo questa prospettiva, è proprio la ricchezza di informazioni - vagliata, verificata e sintetizzata dal critico - che costituisce la base per l'autorevolezza dei risultati. 

La sua esposizione, attraverso la quale egli definisce in modo scientifico il significato che attribuisce al termine di critica sistematica, è anche una risposta indiretta a quanti (non molti, peraltro) accusavano i suoi  lavori di prolissità. 

"…di critiche ce ne posson esser parecchie: la storica e l'estetica, l'erudita e l'impressionista, la stilistica e la strutturalistica. Ce ne sono, anzi, tante quanti sono i critici e gli studiosi. E perciò ci può esser chi legge soltanto e chi va in cerca di paragoni e raffronti, chi crocianamente svaluta le fonti e chi postcrocianamente le rivaluta, chi vuol dir tutto e chi vuol solo indicare spunti e direzioni, chi si preoccupa di quanto detto dagli altri e chi gode di farne a meno. Ognuno di questi (e altri) metodi può essere buono, nessuno di essi esclude l'altro. Ma se vogliamo, di un autore, di un'opera, di un fenomeno, fare uno studio sistematico ed esaustivo, allora il metodo non può esser che uno: non già quello impressionistico ed estetico, ma un metodo rigorosamente completo, che esamini l'oggetto in ogni sua parte e sotto ogni aspetto e ne dia una valutazione il più scientifica possibile. Ora, questo carattere scientifico non è qualcosa di personale e di immediato, che nasca come un fungo da una lettura sia pur meditata ed attenta. Esso è, al contrario, il frutto di tutto un lavorio iniziatosi, quasi sempre, assai prima di noi. Esaminando un autore o un'opera o un momento storico, noi abbiamo il dovere - se, ripeto, vogliamo far qualcosa di sistematico e di esauriente - di conoscere tutto ciò che è stato detto e indagato prima di noi, abbiamo il dovere di capirne la genesi, di vagliarlo, di raffrontarlo, di ricostruirlo storicamente. E questo, proprio perché la nostra valutazione non può porsi che come la continuazione e, provvisoriamente, la conclusione di tutto questo lavorio.  

Pensare storicamente, porsi al termine di tutto un ragionato e ricostruito cammino: ecco il solo metodo di chiunque voglia dare non uno sparso e parziale contributo, ma una precisa e completa sistemazione. In quest'ordine di idee, le citazioni altrui non sono un lusso, non sono una digressione, sono una necessità pura e semplice. Esse costituiscono - se bene scelte e coordinate - la trama dei precedenti studi dalla cui critica e dalla cui valutazione scaturisce il nostro. E non ci si dica, come ha sempre fatto il collega Macchia tutte le volte che gli abbiamo espresso le nostre idee, che la cultura, la conoscenza del precedente lavorio, dev'essere sottintesa e bruciata. Sottintendendo e bruciando (tutte cose possibili e utilissime, ma non in una trattazione sistematica), si finisce col non dir nulla e coll'esteriorizzare ogni cosa. Un conto è, per esempio, che in un lavoro sistematico su Dante io abbia conoscenza delle varie teorie, interpretazioni etc., pur limitandomi a esporre le mie; e un altro, un ben altro conto, è che io allinei storicamente quelle interpretazioni, ne ricostruisca e ne spieghi la genesi, ripercorra il cammino da esse consapevolmente o inconsapevolmente segnato e in questa nuova sintesi che tutto illumina, in questa discussione che raccoglie tante fila trovi, quasi spontaneamente, una conclusione e un risultato. La prima, rispettabilissima, forma di critica sarà anche intelligente e utile, ma rimarrà un contributo, un singolo pezzo di mosaico. destinato fatalmente a essere inglobato (e reso consapevole) nell'altra. La quale altra non necessariamente dev'essere solo il meccanico e automatico risultato di una serie di componenti, ma può benissimo contenere anche elementi di per sé nuovi, intuizioni affatto originali e ricerche del tutto personali. Ma tutto sarà tanto più nuovo, originale e personale quanto più scaturirà da un esame sistematico di tutta la questione, da un pensiero storico che segni l'indispensabile continuità fra passato e futuro. L'esame di questa continuità, anzi, non può non essere, di per sé, un apporto originalissimo."

Tratto da Memorie e pensieri di un cattedratico: lettera aperta ad Aurelio Roncaglia – Roma: G. Volpe, stampa 1974, pagg 30-33

domenica 13 febbraio 2011

Lo scacchista innamorato della letteratura francese

Ricordo del critico siciliano Enzo Giudici
di Gino Raya

Articolo pubblicato sul giornale "La Sicilia" dell'8 gennaio 1986


Firenze francese: così era chiamata la Lione cinquecentesca, che aveva poco da invidiare a Parigi. Valorizzare la lingua francese al posto del latino, e valorizzare la donna tradizionalmente mortificata: questi i propositi (novatori per l'epoca) di quella "scuola lionnese", alla quale è legato il nome del frencesista recentemente scomparso: Enzo giudici (Mussomeli, 24 settembre 1920-Roma, 3 ottobre 1985). Basti ricordare, per questo settore, due monumentali edizioni da lui curate: il Microcosme di Maurice Scève (1976), e le Oeuvres complétes di Louise Labé (1981).

Perché figlia d'un commerciante in cordami, Luise Labé era chiamata "La belle cordière", una cordaia che conosceva il latino, l'italiano, lo spagnolo, che praticava sport come la scherma e l'equitazione, che ricamava, suonava il liuto, amava... Soprattutto amava, né nascondeva la propria indole indipendente, al punto da indossare, qualche volta, abiti maschili: di qui le indiscrezioni e le maldicenze, culminanti nella "meretrix" affibbiatole da Calvino. A questa affascinante figura di donna, sorella ideale della nostra Gaspara Stampa, Enzo Giudici dedicò un ricco volume di traduzioni e ricerche, pubblicato dal Guanda nel 1955.

Merito forse maggiore dell'attività scientifica: la cattedra universitaria, esercitata prima a Macerata e nell'ultimo biennio a Roma, gli risparmiò la tabe baronale, qualche miseria della quale denunciò nel libro intitolato Memorie e pensieri di un cattedratico (1974). Aveva, insomma, il culto della sincerità; al punto da pubblicare un volume, in pieno 1982 con un titolo più che eretico: Ricerche sulla cultura dell'era fascista. E di quel culto è testimonianza anche la dedica del suo studio su Anatole France e l'Italia (1981), indirizzata ad uno studioso che ha teorizzato la necessità d'una critica non soltanto sincera, ma addirittura dissenziente, perché la cultura può progredire più col dissenso che col consenso (e tantomeno la laude convenzionale): "all'amico Gino Raya / e alla sua intepida sincerità /di studioso e di uomo".

La francesistica non soffocò altri interessi culturali di Enzo Giudici, quali l'italianistica e il gioco degli scacchi.

domenica 5 dicembre 2010

Louis Aragon: fra Dadaismo e Surrealismo

Articolo di Enzo Giudici pubblicato sul giornale "Vita" di domenica 15 luglio 1979.

Non possiamo dire d'avere mai avuto eccessiva simpatia per Aragon: né come poeta né come romanziere (tralasciamo il saggista) e tantomeno come uomo politico e come direttore de “Le Lettre Françaises”. Per motivi ideologici dunque? Senza dubbio, ma anche per una certa diffidenza verso questo scrittore “engagé”, sempre pronto a trovarsi fra i piedi della gente e a metter becco e naso fra tutti (come nel 1968, quando ritenne di doversi inserire nel cosiddetto maggio sul studentesco e ne uscì scornato, sorbendosi l’apostrofe: “taci, vecchia barba!”) e sempre incapace di sganciarsi dal consumismo nonostante le delusioni, le crisi, i dubbi in proposito: prova delle sue contraddizioni, sanate solo da un'ambizione perenne.

Contraddittorio, certo, questo Aragon rivoluzionario che nel 1962 compose, in collaborazione col conservatore André Maurois, l’”Histoire parallèle” (dell'Urss e degli Usa) e che, dopo avere in gioventù aderito al surrealismo (senza però condividerne le fondamentali tendenze anarchiche), se ne staccherà nel 1932 (è il tempo del famoso “affaire Aragon”, col significativo articolo a lui dedicato dal  Dictionnaire Abrégé du Surréalisme”)


Chi scrive si imbatté per la prima volta in lui nel 1942, leggendo la celebre raccolta poetica "Les yeux d’Elsa” (Elsa Triolet, naturalmente), per via delle strofe famose commemoranti il quarto centenario degli amori di Louise Labé, di Olivier de Magny: e sono versi che piacciono, almeno fin quando non ci si accorge che il poeta vive, per così dire, di rendita, adagiandosi nella felice formula di un metro già trovato, nella melodica cantilena divenuta un po' fine a se stessa. Ma neppure questo è valso a rendercelo molto vicino.

Certo, Argon è ben lungi dall'essere tutto qui. Ma neppure la sua prosa è riuscita, nonostante indubbi pregi, a entusiasmarci troppo. I romanzi del ciclo "Le Monde rèel” (1934-1944), sono certamente vivaci ed espressivi ma convenzionali: la borghesia della fine del secolo XIX vi è descritta con vivido spirito denigratore, mentre laboriosi e onesti e puri vi appaiono contadini e operai. L'altro ciclo “Les communistes” (1946-1950) che descrive la vita francese negli anni 1939-40, e ancor più inquinato dall'intento politico. "Questo ciclo -è stato acutamente detto - è un esempio lampante delle contraddizioni che possono sussistere in uno scrittore, sia pure molto dotato, fra intenzioni e mezzi di realizzazione. E ”le sue pagine riuscite, capaci di resistere al tempo, non sono numerose: molte si spengono, soffocate dalla polemica, dalla retorica, dal manierismo”. Sicché, in definitiva, la cosa migliore (o meno caduca) di Aragon, rimane il romanzo "La semaine sainte” (1958) ove la corale (e storicamente fedele) ricostruzione dell'ambiente dei Cento Giorni (1914) è astutamente e abilmente condotta in chiave di lirismo e di pietà, senza scoperto intento politico. E forse solo una rigorosa selezione di tutti gli scritti di questo troppo fecondo autore (persino la sua “Resistenza" è avvenuta soprattutto mediante la penna e tramite pseudonimi), comprese le ultime narrazioni e gli ultimi saggi, in chiave di delusa e amara autocritica può rendere più facile la valutazione (e più simpatica la figura) di uno scrittore che - è stato osservato - come poeta può sembrare controcorrente nell'evoluzione contemporanea, ma abbraccia tutta una tradizione che non può lasciare indifferente nessuno (molte poesie musicate da Ferri, Ferrat, ecc. sono diventate canzoni di successo che diffondono la poesia fuori dai confini del mondo letterario" e come romanziere "non ha probabilmente fatto progredire molto le forme narrative, ma è uno dei prosatori più incantevoli del suo tempo".


A questo punto stavano per noi le cose quando ci siamo imbattuti nell'ottima traduzione di Claudio Rendina (autore anche di un’altra eccellente nota critica e biobibliografica) della prima raccolta poetica di Aragon “Feu de joie” edita a Parigi nel 1920 e ora (1979) ripresentata dalla Edizioni Newton Compton.