domenica 13 febbraio 2011

Lo scacchista innamorato della letteratura francese

Ricordo del critico siciliano Enzo Giudici
di Gino Raya

Articolo pubblicato sul giornale "La Sicilia" dell'8 gennaio 1986


Firenze francese: così era chiamata la Lione cinquecentesca, che aveva poco da invidiare a Parigi. Valorizzare la lingua francese al posto del latino, e valorizzare la donna tradizionalmente mortificata: questi i propositi (novatori per l'epoca) di quella "scuola lionnese", alla quale è legato il nome del frencesista recentemente scomparso: Enzo giudici (Mussomeli, 24 settembre 1920-Roma, 3 ottobre 1985). Basti ricordare, per questo settore, due monumentali edizioni da lui curate: il Microcosme di Maurice Scève (1976), e le Oeuvres complétes di Louise Labé (1981).

Perché figlia d'un commerciante in cordami, Luise Labé era chiamata "La belle cordière", una cordaia che conosceva il latino, l'italiano, lo spagnolo, che praticava sport come la scherma e l'equitazione, che ricamava, suonava il liuto, amava... Soprattutto amava, né nascondeva la propria indole indipendente, al punto da indossare, qualche volta, abiti maschili: di qui le indiscrezioni e le maldicenze, culminanti nella "meretrix" affibbiatole da Calvino. A questa affascinante figura di donna, sorella ideale della nostra Gaspara Stampa, Enzo Giudici dedicò un ricco volume di traduzioni e ricerche, pubblicato dal Guanda nel 1955.

Merito forse maggiore dell'attività scientifica: la cattedra universitaria, esercitata prima a Macerata e nell'ultimo biennio a Roma, gli risparmiò la tabe baronale, qualche miseria della quale denunciò nel libro intitolato Memorie e pensieri di un cattedratico (1974). Aveva, insomma, il culto della sincerità; al punto da pubblicare un volume, in pieno 1982 con un titolo più che eretico: Ricerche sulla cultura dell'era fascista. E di quel culto è testimonianza anche la dedica del suo studio su Anatole France e l'Italia (1981), indirizzata ad uno studioso che ha teorizzato la necessità d'una critica non soltanto sincera, ma addirittura dissenziente, perché la cultura può progredire più col dissenso che col consenso (e tantomeno la laude convenzionale): "all'amico Gino Raya / e alla sua intepida sincerità /di studioso e di uomo".

La francesistica non soffocò altri interessi culturali di Enzo Giudici, quali l'italianistica e il gioco degli scacchi.