Ricordo del critico siciliano Enzo Giudici
di Gino Raya Articolo pubblicato sul giornale "La Sicilia" dell'8 gennaio 1986
Firenze francese: così era chiamata la Lione cinquecentesca, che aveva poco da invidiare a Parigi. Valorizzare la lingua francese al posto del latino, e valorizzare la donna tradizionalmente mortificata: questi i propositi (novatori per l'epoca) di quella "scuola lionnese", alla quale è legato il nome del frencesista recentemente scomparso: Enzo giudici (Mussomeli, 24 settembre 1920-Roma, 3 ottobre 1985). Basti ricordare, per questo settore, due monumentali edizioni da lui curate: il Microcosme di Maurice Scève (1976), e le Oeuvres complétes di Louise Labé (1981).

Merito forse maggiore dell'attività scientifica: la cattedra universitaria, esercitata prima a Macerata e nell'ultimo biennio a Roma, gli risparmiò la tabe baronale, qualche miseria della quale denunciò nel libro intitolato Memorie e pensieri di un cattedratico (1974). Aveva, insomma, il culto della sincerità; al punto da pubblicare un volume, in pieno 1982 con un titolo più che eretico: Ricerche sulla cultura dell'era fascista. E di quel culto è testimonianza anche la dedica del suo studio su Anatole France e l'Italia (1981), indirizzata ad uno studioso che ha teorizzato la necessità d'una critica non soltanto sincera, ma addirittura dissenziente, perché la cultura può progredire più col dissenso che col consenso (e tantomeno la laude convenzionale): "all'amico Gino Raya / e alla sua intepida sincerità /di studioso e di uomo".
La francesistica non soffocò altri interessi culturali di Enzo Giudici, quali l'italianistica e il gioco degli scacchi.